Miguel Bosé mica le manda a dire. Quando una prova non gli piace, soprattutto se è dell’avversario, lo esprime con chiarezza, anche se gli difetta la lingua. Moreno, dal canto suo, incassa, ma poi stuzzica, finché, quando è lui ad essere stuzzicato, entra a piè pari sul nemico giurato ed esce per una volta fuori dal copione della trasmissione più telefonata dell’anno.

La lite è tremenda. La De Filippi ci rimane male e non sa come fare. Dopo la querelle tra Colomba e Tina, questa non ci voleva. Magari gli autori gongolano, perché pensano ad una vittoria in prima serata. E invece il pubblico non gradisce e “Amici” si prende la seconda scoppola da “Ti lascio una canzone”, ma questa volta di circa quattrocentomila spettatori (senza tener conto che il programma della Clerici dura fino alla mezzanotte).

Pare proprio che “Amici” sia giunto o quasi al capolinea con questa formula, sbagliata fin dall’assunto. I coach delle squadre sono antipatici, quasi sempre, non aggiungono niente al programma tranne la loro ingombrante presenza. Miguel Bosé ha una padronanza tale del ruolo che nemmeno cambia registro da una puntata all’altra. Moreno è inadatto sia per la breve esperienza televisiva sia per le capacità mimiche del volto, ma è pur sempre meglio del suo predecessore (uso il maschile volutamente).

I ragazzi, che pure quest’anno hanno personalità, sono schiacciati sia dalla sovrapposizione delle troppe voci che li giudicano (senza, quasi mai, avere competenza) spesso in modo assurdo, reiterando il peggio di altri programmi del genere (“non mi trasmetti”, “giudico sulla base del brivido”, come se il giudice in un talent fosse un antennista, o un malato con la febbre) sia dalla prepotenza di due capi-squadra che, lungi dall’affermare il proprio ruolo, sembrano loro stessi in gara, come nel peggiore degli “X-Factor”.

Il problema è, poi, che, quando si esibiscono non amano essere toccati, nemmeno per ischerzo. Eppure inanellano prestazioni da oratorio di periferia. Succede a entrambi nell’ultima puntata, quando Moreno fa un rap su “Don’t cry for me Argentina”, mentre la voce di Debora cerca di dare il meglio di sé (e alla fine sembra la solita comprimaria, quando altro che corista dovrebbe fare, poverina), e Miguel, invece, si getta in “Bambu” con Nick.

Il primo s’adira quando Bosé, prima ancora di sentirlo, lo boccia, perché gli sembra assurdo trasformare la canzone del musical “Evita” in una conversazione sulla crisi in Italia. Forse ha ragione, in effetti, ma la sua è una difesa pro domo sua, mentre dovrebbe arrabbiarsi piuttosto per i propri protegé e invece, quando sono loro ad essere messi (ingiustamente) sulla graticola, non articola sillaba.

Invece, sono le critiche ingenerose del co-coach che attizzano la sua crudele reazione, talmente scomposta che trascina Bosé ad un urlo ben poco maschio, ma tant’è.

Il problema è che poi Miguel si mette a ballare sculettando (e forse alla sua età sarebbe più sexy perfino l’insipida Giada, ed è tutto dire) inneggiando a come darebbe il suo bambu ad una presunta fiamma (nella canzone dovrebbe essere una donna, ma, siccome la canta con Ricky Martin, temo sarebbe stato meglio volgerla al maschile). E allora Moreno non insiste nemmeno troppo sulla volgarità della canzone e sul messaggio inquietante che il bambu darebbe al mondo di “Amici”. Appena fa una battutina, quando avrebbe potuto essere più esplicito.

E forse nemmeno avrebbe fatto tanto male.

Ed è così che il povero spettatore, davanti a tanta sicumera, davanti a prove tanto disastrose (sul bambu, per dirne una, il professionista sembrava Nick), davanti a tante canzoni buttate lì senz’arte né parte e fatte passare per capolavori (ancora ho nelle orecchie il duetto tra Nick e Placido Domingo… e sì che far cantare un basso e un tenore insieme è relativamente difficile, mi dicono dalla regia), davanti a Rudy Zerbi che interviene per dire che i Dear Jack non hanno calato nemmeno di mezzo tono (a me sembravano almeno tre), si dice che forse è meglio girare sul due, ché danno “Castle” e almeno quello è bello, intelligente e canta perfino meglio di tutto il cucuzzaro.

Ultima, ma non meno importante annotazione: si è intuito vagamente, ma solo VAGAMENTE, che a vincere sarà il bell’Alessio dalla voce chioccia, quello che se becca una nota giusta bisogna mettere un cero a tutti i Santi della beata corona. Basta sentire come cercano di farlo passare per un cantante tutti quanti, andando a comprargli perfino il disco. Immagino che quello che i tre giudici gli hanno acquistato (uno in tre, visti i prezzi) sarà anche l’unico che riuscirà a piazzare.

I Dear Jack un po’ come quell’altro, quello che doveva rivoluzionare la musica e che invece ha solo rotto i marroni alla Di Michele per un anno, quel tale che tutti difendevano perché doveva vincere, anzi stravincere, e che si spera sia definitivamente emigrato alle Hawaii, il simpaticissimo Gerardo non-becco-una-nota Pulli.