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Antonino Lombardo era entrato alla grande nella scuola della De Filippi. Per farsi forza, aveva buttato il cuore oltre l’ostacolo. Era stato strafottente, un po’ guascone, forse perfino maleducato. Del resto, come diceva nella sua intervista di presentazione: “A che tipo di persone non piaci? Ai ballerini più scarsi… a quelli che non amano la verità perché la verità fa male!”.

Arrivava in tv, tra l’altro, anche se in pochi lo sanno, dopo una discreta carriera pregressa (ad “Amici”, invece, s’è sempre detto che aveva fatto il maestro di balli da sala, il cameriere, il muratore e l’uomo delle pulizie): entrato a far parte del corpo di ballo dei Piccoli Danzatori del teatro Massimo di Palermo (non una compagnia da poco), quand’era ancora piuttosto giovane, veniva dalla compagnia “Astra Roma Ballet” (l’ultima della quale era stato membro) e da una assidua frequentazione dell’Aterballetto di Reggio Emilia (quello della Celentano, tanto per non fare nomi, la quale invece l’ha sempre giudicato un pessimo ballerino, tanto da insultarlo, gratuitamente, spesso e volentieri).

E’ comprensibile, in effetti, che facesse così. Non è il primo che si comporta così nell’euforia del momento. Il pubblico spesso ama gli sbruffoni, quelli che, anche artatamente, fingono di essere chissà che. Tende a crederci, a seguirlo. Poi, il tempo naturalmente rimette le cose a posto.

Antonino, alla fin fine, è tutto fuorché un maramaldo. E’ un bravo ragazzo, gentile, di cuore – una delle poche belle persone di quest’anno. Si vedono nei suoi occhi il coraggio di provare, la voglia di esserci, la capacità di spingersi oltre i propri limiti. Ha tante belle emozioni da regalare, una lunga strada da percorrere, ma deve prima fare i conti con se stesso e la sua storia. Per diventare un uomo felice, ora che è un ragazzo a metà, deve al più presto ripensare al proprio rapporto con la famiglia. Provare a farsi capire e a capire. Poi, eventualmente, andare avanti, o tornare indietro.

Del resto, con il proprio passato, più che con il nostro presente, dobbiamo sempre venire a patti, soprattutto se il nostro passato si chiama famiglia, o si chiama, più specificamente, papà.

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