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“Watch over me”, un serial americano che prende spunto da una telenovela argentina di successo (“Resistiré”), è arrivata in Italia tramite Rai4 ed è stato il piatto forte della programmazione del canale digitale all’ora di pranzo per diverso tempo. La trama di WOM è presto raccontata, come nella peggiore delle telenovelas: un ricco industriale del ramo farmaceutico teme per l’incolumità della figlia e della bella fidanzata e così assume uno dei suoi amici di liceo, già soldato delle forze speciali, il quale, senza sapere che il vecchio compagno di scuola fa affari loschissimi, accetta, soprattutto perché invaghitosi perdutamente della ragazza che lo dovrebbe sposare.

Insomma, un tipicissimo triangolo amoroso, con l’unica variante del mestiere terribile dell’antieroe, il quale, per fare soldi, fa creare da valenti scienziati nel suo laboratorio sotto casa terribili virus, che rivende al miglior offerente e che poi fa combattere con altrettanti antivirus micidiali, sempre prodotti dalla sua casa farmaceutica.

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Era il 1980 a Sanremo. L’edizione sarebbe stata vinta da Toto Cutugno con l’immortale “Solo noi”, che ancora oggi riscuote un successone dovunque sia cantata. In seconda posizione, un pezzo di Depsa (Salvatore De Pasquale) e Enzo Malepasso, che peraltro cantava: il titolo era “Ti voglio bene”. Tra le altre canzoni, tutte idealmente al quarto posto, ce n’era un’altra a firma Depsa, “Tu cioè”, interpretata da Peppino Di Capri.

Forse poco nota al grande pubblico e tra le hit del napoletano sicuramente non la più famosa, si tratta però di un grandissimo pezzo, sia musicalmente sia narrativamente. E’ la storia di un abbordaggio per caso: un uomo incontra una donna nella grande città. C’è uno sciopero e, oltre tutto, piove. La signora, che si dà un sacco d’arie, chiede un passaggio e tra i due, col tempo, scatta qualcosa – forse una storia, più probabilmente niente di più di una breve parentesi.

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“Due stelle” è la versione italiana di “Chances”, dall’ultimo album di Valerio Scanu. I due pezzi suonano molto differenti: quello originale in inglese è dominato, nel testo, da una insistita anafora; il nuovo testo italiano, invece, è giocato sul numero “due” , che, peraltro, torna anche nel titolo, e sull’idea dell’unisono, naturalmente smentita dal “due”. Se nel primo caso si tratta di un amante che torna con rammarico alla chance che s’è mal giocato sulla ruota dell’amore e ora vive nel dolore (“should’ve opened up my eyes for the love we had/ I hope to feel again”), nel secondo Valerio canta di un amore che si sta spegnendo, ma che dovrà finire, per via della stessa sincerità con cui è sempre stata vissuta (“Il meglio di noi forse è stata la sincerità./ Ora lo sai per volare non ci basterà”).

Anche se i due testi sono interessanti (più quello italiano, anche se quello inglese, per la sua indefinitezza, è naturalmente evocativo, soprattutto grazie al talento di Valerio), non è tanto su questo aspetto che stavolta vorrei fermarmi.

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Oggi m’è capitato di risentire questa canzone, “Via del Conservatorio”, dal repertorio di Massimo Ranieri, un pezzo dallo stile narrativo come funzionava molto in quegli anni. E’ la storia, commovente, di un ragazzo che per aiutare la propria famiglia è costretto a rinunciare alla sua vita, in particolare alla musica e allo studio al Conservatorio. E’ immaginata come un dialogo tra lui e il suo professore che lo esorta a non smettere di pensare all’arte e a tornare, quando gli sarà possibile.

Il pezzo inizia con il suono ossessivo e tragico degli strumenti che sono accordati, un inizio tragico e naturalistico insieme che rende perfettamente la tragedia dell’abbandono. Sui violini si aggiunge instancabile un insistito pianoforte che sembra cominciare la melodia, mentre sono i fiati a ribadirla prima dell’avvento della voce, quella del ragazzo che ricorda il dolce momento quando la musica per lui è diventata missione, in una chiesa.

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