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Non ho mai avuto una grande opinione di Martina Stavolo (forse sono stato anche screanzato quando ho inventato per lei il soprannome di Mentolina) e continuo ad avere qualche remora a parlarne, perché non sempre, durante la sua esperienza televisiva, è stata limpida nei suoi atteggiamenti.

D’altra parte, le riconosco un miglioramento straordinario, nonostante il minore talento canoro rispetto alle altre cantanti di questa edizione di Amici, nonostante la terra bruciata che le è stata fatta non solo da Jurman, che invece alla fin fine non l’ha maltrattata, ma da quelle simpaticone di Grazia e Graziella (tra l’altro, mi chiedo davvero che ci stiano ancora a fare quelle due in commissione… cosa dobbiamo fare per farle cacciare? chiamare la croce rossa internazionale, avvisare i marines, far intervenire direttamente l’ONU?).

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Non va benissimo, a quanto pare, e c’era da aspettarselo, l’ep di Mario Nunziante. Infarcito di pezzi suoi, piuttosto debolucci, spesso senza linee melodiche, si tratta di un disco non irrinunciabile, se non per i fan molto molto a lui legati. Le canzoni, purtroppo, anche al secondo o al terzo ascolto, al massimo, sembrano copiature di refrain già ascoltati, già sentiti. Ma vediamo di raccontarne una per una.

Solo: tentativo non riuscito di ballata. La voce spesso si perde, visto che non ha tanta agilità per seguire il ritmo, relativamente convulso.

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Quando il talento viene umiliato, bisognerebbe gridare forte al cielo. Io non posso gridare, perché altrimenti qualcuno potrebbe pensare che sono un licantropo sotto la luna piena. Ma posso scrivere e finché ce la faccio, nonostante le mille difficoltà, scriverò in favore del talento.

Quanto a Marco Carta, ho riempito tanti post per difenderlo da Grazia Di Michele, che potrebbero darmi una patente da cartina, anche se sono un uomo. Su Valerio Scanu, credo di essere stato abbastanza chiaro: nessuno tocchi Valerio. Chi non lo capisce, non capisce un’acca di musica. (E sia ben chiaro che non faccio classifiche tra talenti canori: a quello ci penserà la storia di ciascuno, o al massimo la FIMI).

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Non ho nostalgia delle mie infelici storie passate. Ho fatto del mio meglio per dimenticare, tanto che sono anestetizzato. Nulla mi tocca, ma neppure per sfiorarmi l’anima. Quando sento, però, qualcuno che canta quel sentimento che tanto mi ha fatto disperare, mi sento intenerito per un attimo. Solo uno, però.

Quando ci si abitua a sentire tutto ciò che è intorno con noncuranza o ironia, come se non ci fosse più niente da aspettare in una vita monotona e ripetitiva, bisognerebbe immaginare, almeno fantasticare un abbraccio forte, una carezza, che giungesse fino all’anima e le desse un’altra vita, nuova vita.

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Quante volte è tempo per noi di partire. Partiamo per tanti motivi: per allontanarci da un luogo che è segnato da troppe gioie o da troppi dolori, oppure perché non possiamo far fronte ad una persona che ci ricorda che non crediamo abbastanza in noi, oppure per trovare altre persone o altri luoghi nei quali porre i nostri sentimenti o le nostre passioni.

Siamo sempre in movimento, anche quando stiamo fermi: meravigliosi equilibri senza equilibrio. E non c’è niente da chiederci in questi transiti da un momento all’altro. Dobbiamo solo aspettarli, subirli, deciderli, a seconda del momento e della sorpresa: dobbiamo solo vivere un’unica notte, infatti, quando non avremo più da spostarci.

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Scrivere un ritratto di Aldo De Luca è forse dare eccessivo peso ad un personaggio che gode di ogni critica ricevuta, visto che ne vive. De Luca è noto nell’ambiente come un antipatico provocatore, capace dei peggiori gesti, tanto per passare alla storia. Purtroppo, non c’è ancora riuscito. Dovesse farcela, forse, la finirebbe.

Giornalista del “Messaggero”, è il titolare di una rubrica che si chiama “Fuga di notizie”, dove si occupa di tutto il peggiore gossip di questi anni di piena crisi di valori. Senz’essere una penna di particolare valore, fa del veleno e dello sgub alla Biscardi il suo pane quotidiano. Insomma, dovendo riempire le sue trenta righe, non riesce, naturalmente, a fare a meno di attaccarsi al nulla, pur di arrivare alla fine dell’articolo e scrivere la sua, ormai poco rispettata, firma.

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