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Era il 1973 quando Barry Manilow uscì col suo album di debutto (chiamato coraggiosamente “Barry Manilow I”, evidentemente sapeva che ce ne sarebbero stati altri). Tra gli altri capolavori c’era una canzone che doveva superare perfino il successo del suo autore e primo perfomer, “Could it be magic”, che Manilow aveva scritto con Adrienne Anderson.

La bellezza di questa melodia è anche dovuta al fatto che l’autore si ispirò ad un pezzo classico, il Preludio in do minore op. 28 n.20 di Frédéric Chopin. Se ne accorse, un anno dopo la pubblicazione del singolo, nel 1976 anche Donna Summer, che ne fece una versione apertamente dance, ottenendo un successo planetario, con il suo inconfondibile stile. Il pezzo, poi, sembrava aver chiuso la sua storia con la cover nei primi anni Novanta dei Take That, anche se nel frattempo altri vi si sono cimentati (come Emile et Images, che ne fecero una versione assai melodica, Gerard Kenny con il suo stile spezzato, la latineggiante Juliana Aquino e la troppo contemporanea, poppeggiante Judy Weiss).

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La forza di un amore irresistibile, di un uomo che urla il suo dolore e la sua follia, l’insistenza di un cuore e di un’anima che gridano all’unisono: ecco il tema di una delle nuove canzoni di Valerio Scanu, “Non dirmi no”. Di questo recentissimo album, già arrivato in pochi giorni al traguardo del disco d’oro, non si può dire altro che bene, ma in particolare questo motivo, raggiungibile solo tramite rete e da lì scaricabile, è un pezzo di bravura: la voce di Valerio sembra offrire qui non solo una prova di eccezionale tecnica, ma di profondità interpretativa davvero magistrale.

E’ vero che c’è una intensità particolare in tutto ciò che canta Valerio, ma in “Non dirmi no” la disperazione atterrita dell’uomo che si spende per sempre, che alza la propria preghiera, che è anche ordine contemporaneamente, raggiunge vette tragiche, che fanno davvero pensare ad una sensazione provata sulla propria pelle – un amore forte, forse immaturo, che si sacrifica (“sono qui per te”), che finge d’essere onnisciente (“so già tutto di te”), che fa leva su un destino che invece è ancora da scrivere (“è scritto che tu sei mia”).

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“Amici” è famosa per essere una trasmissione molto seguita dal popolo gay. Non a caso qualche tempo fa quando si rintracciarono foto un po osé di Marco Carta, fu il popolarissimo gay.it a pubblicarle per primo. Uno degli autori del programma e conduttore di quasi tutti i pomeridiani, Luca Zanforlin, è peraltro omosessuale dichiarato.

Eppure, la storia di “Amici” è piena di episodi non proprio felici a proposito del trattamento riservato a chi, in un modo o nell’altro, durante la sua partecipazione, ha fatto riferimento, o ha alluso al proprio orientamento sessuale diverso: è successo tante volte che pensare ad una coincidenza fa un po’ sorridere.

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Puntata strappalacrime. Claudia Mori non è una megera, ma una scarsa imitatrice. In lei non c’è mai una parola di verità. Riesce perfino a fare il verso a Mara, quando le stanno per cacciare l’inascoltabile Damiano, presuntuoso nella sua presunta cantautorialità. Ma, dico io, cosa ci sta a fare un cantautore in mezzo a X-Factor? Era conscio, sì o no, che quello è un posto per interpreti?

E così Claudia si mette in testa di dover fare il suo gioco, proprio mentre, vezzosamente, ribadisce che “io cerco il talento” a prescindere dalla squadra dove è capitata. Ma sì, raccontiamole tutte, ché altrimenti magari lasciamo qualcosa di intentato.

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Quando ascolto la sua voce, che pure non m’è stata mai tanto familiare, vista la mia età, mi sento sempre trasportato lassù, nel cielo, come succede solo con quelle anime belle, che sanno fare quello che a noi mortali non è consentito – volare.

Carla Boni è mancata, dopo una lunga malattia, a Roma. Protagonista di tanti Sanremo, meravigliosa donna, capace di perdonare perfino l’ex marito Gino Latilla, che tanto l’aveva fatta disperare, capace perfino di fare pace con l’altra grande dei suoi tempi, la sempreverde Nilla Pizzi, in diretta televisiva al programma di Paolo Limiti, non era rancorosa, aveva sempre un sorriso per tutti.

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Il nuovo, imbarazzante single di Luca Napolitano, dal titolo leopardiano “L’infinito”, è stato pubblicato da qualche giorno e naturalmente strombazzato ai quattro venti come fosse un capolavoro, mentre in realtà è forse tra le cose peggiori da lui mai cantate.

La storia che si intuisce da questi versi è quella di un ragazzo allo sbando: è notte e sta pensando al suo passato di delusioni e tradimenti; si augura che il domani gli riservi qualcosa di meglio e quindi rinuncia, per così dire, “all’infinito”, anche se non è ben chiaro, visto che il testo si contraddice in almeno due punti, tanto che non si capisce quale sia la sua escogitazione per stare meglio.

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Proprio ieri, mentre assistevo alla doppia eliminazione ad X-Factor (non rimpiangerò particolarmente né i Luana Biz, anche in versione “c’abbiamo le palle anche noi, mica solo Sofia”, perché più simili a quattro solisti, che ad un gruppo vero e proprio, né tantomeno la quasi professionista Francesca, che al massimo, secondo me, è adatta al karaoke nel terzo tempo delle partite di calcio), ho capito una grande verità e oggi la comunico al mondo, che intanto, probabilmente, se ne fregherà altamente.

X-Factor non è un programma musicale. Anzi, forse neppure parla di musica. E’ tutto un imbroglio: hanno messo alla conduzione Facchinetti, perché sanno che è un fessacchiotto, ingenuo, buono buono, gentile con tutti e basta, per farlo tacere o parlare a seconda di come è meglio per la causa, fargli vedere qualche bella ragazza seminuda.

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Ieri X-Factor ha lasciato l’impronta. Sì, nel trash più profondo. Si è inabissato verso il trionfo della spazzatura, della scoria vivente. X-Factor ha cambiato pelle, perché vuol diventare il peggio del peggio, senza fermarsi sull’orlo del baratro.

Artefici di questa ritrovata verve, dovuta anche al fatto che il programma sta toccando i suoi minimi storici d’ascolto (ed infatti ieri sono stati eliminati d’emblé due cantanti, ciò che non è mai successo in tre edizioni – peccato che tra i due non ci fosse Sofia), sono soprattutto i giudici caciaroni e il sempre valido Tommasini, che, se deve spendere qualche ora a immaginare una coreografia, forse sarebbe meglio che impiegasse il suo tempo in un altro e più produttivo modo.

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Non vorrei che adesso qualcuno pensasse che sto virando pericolosamente verso posizioni atee (non vorrei che il papa-Crozza mi fulminasse con i suoi dolci occhi algidi). Sto solo parlando di uno dei nuovi cantanti (la parola fa sorridere) di “Amici”, nuova edizione: un tipo con la frangia nera, pallido come un morto, con una voce stridula stridula, che fa accapponare la pelle e ricorda vagamente il protagonista di “Nightmare before Christmas”.

Quel tipo si chiama Davide Flauto (soprannome: Suicidio, e la precisazione spiega il titolo del post) e a quanto pare sembra venuto fuori da una favola horror, il cui regista e narratore è il simpatico (la parola fa sorridere) Charlie Rapino. Certo, diranno i miei lettori, l’abito non fa il monaco – l’apparenza non deve spaventare, sentilo cantare, fatti un’idea, non essere prevenuto.

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Morgan fa e disfa. Lo sappiamo tutti. E’ esagerato, intraprendente, comico senza volere, tragico volendolo. Uno dei cocchi della Mori (solo della Mori, però), il cantautorale Damiano, l’ha definito: “il Mughini della musica” – brillante (più delle sue interpretazioni da camomilla), ma ancora impreciso.

C’è qualcosa di più in Morgan che il piacere di autocompiacersi: c’è l’istinto del killer, di chi vuole giocare a tutti i costi una partita, anche sulle spalle del talento. Così si spiega la sua crudele crudeltà quando incontra il talento (solo quando c’è, però) nei concorrenti che non hanno avuto la fortuna di essere sotto la sua ala protettrice. L’anno scorso, scontavano questo difetto due tra i più talentuosi della vecchia edizione di “X-Factor”, Serena Abrami e Daniele Magro, in particolare la prima che veniva sacrificata per salvare un trio di poverette, le quali avevano un solo pregio – quello che sarebbero state eliminate al turno successivo.

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