Qualche volta nella vita ci si sente soli, ci si guarda attorno e tutto resta oscuro, misterioso: non c’è più nessuno che ci dia una mano, viviamo “per conto nostro”, senza speranza di trovare sulla nostra strada qualcuno che ci dica una buona parola.

Qualche volta nella vita, quando si è giovani, non si pensa alle macerie che ci si lascia indietro: alle storie d’amore finite per errore, a quelle d’amicizia distrutte da una parola o da un gesto sbagliato. Tanto, ci si dice, c’è sempre tempo per recuperarle, o per trovarne di nuove. E purtroppo il tempo è là, alla fine, per dirci che invece non è più possibile.

Questa è la triste conclusione di una delle canzoni più belle mai scritte, spesso confusa per una ballad d’amore, mentre in realtà è una riflessione filosofica tanto profonda da infiltrarsi anche nell’anima umana meno propensa: “All by myself”, scritta e interpretata da Eric Carmen sulla base del secondo movimento del Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 di Sergei Rachmaninoff.

In alcuni sparutissimi casi la musica leggera e quella classica trovano il modo per convivere: questa è una di queste preziose occasioni. E allora chi meglio di Valerio Scanu poteva recuperare questo splendido pezzo? Chi meglio di lui poteva interpretare con tutta la potenza incontenibile della sua voce una perla tanto delicata e profonda?

Convincente in modo costante per la sua tessitura melodica incredibile, qui appare in una delle sue prove più pregevoli, visto che in realtà la cover è nata in poche ore, con il solo accompagnamento di un pianoforte (anche se a suonarlo è un grande maestro, Lucio Ranieri). Non c’è altro in questo capolavoro che la sua potente voce, capace di una interpretazione che né Carmen (che pure era un grandissimo interprete) con la sua voce poco rotonda eppure intelligente ha dato né tantomeno Céline Dion, che nella sua versione (quella commercialmente più nota) usa poco il registro drammatico e sembra, al confronto con Valerio, troppo laccata e impersonale (perfino la Charice diGlee impallidisce – la sua versione sembra solo un esercizio di bravura, ma senz’anima).

Questa versione scanuforme, che tecnicamente deve sicuramente qualcosa sia a quella favolosa (e mai pubblicata) tratta dal film “Clueless”, ad opera di Jewel, sia a quella, mai incisa, di Leona Lewis nella finale del suo X-Factor, sembra piuttosto ispirata a quella amara, swingata e volontariamente imprecisa sul ritmo di Frank Sinatra: una specie di nuova edizione di final curtain al quale presentarsi una volta chiusa una gran parte della propria vita (e che anche un’altra grande, dalla voce ambrata, come Eartha Kitt ha recuperato alla sua maniera). C’è nella voce di Valerio un non so che di disperato che né il pur bravo Carmen né la pur potente Dion hanno trovato in questo pezzo, che invece è davvero intuito solo da Scanu e da Sinatra.

E’ come se questo ragazzo, talmente giovane, talmente talentuoso però, avesse alle spalle un’esperienza di vita così intensa che gli consentisse di cogliere qualcosa che solo probabilmente dopo i quarant’anni si capisce davvero.

Ciò, come quasi tutto quel che riguarda Valerio, ha del miracoloso.