Torno su questo blog, un po’ negletto, per il post tradizionale su Sanremo e le mie pagelle (quest’anno molto crudeli). Non ho mai dimenticato perricominciare, che amo ancora teneramente come lo amavo quando lo aprii tanti anni fa, ma altri progetti sono diventati per me un lavoro quasi a tempo pieno e quindi il mio antico blog purtroppo dovrà soffrire la mia lontananza. Ma gli voglio tanto bene, come ne voglio tantissimo anche a quei lettori che mai mi hanno abbandonato.

saluti, Rembò/ Lewis C.

Luca Barbarossa, Passame er sale: ballata autentica, ben cantata, sulla storia tesa e vera di una coppia difficile che, però, forse potrebbe ritrovare il suo equilibrio. Commovente nella sua disperata analisi, anche se la scelta del romanesco potrebbe far storcere il naso ai puristi. Voto: 8

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Stefano Bollani sta per iniziare un programma su Rai2. Come fare la tv nessuno se l’inventa da sé. Per fare ascolti e poter continuare la propria carriera televisiva, bisogna usare gli stessi mezzucci da sempre, tipo far parlare di sé prima del debutto. Bollani, reduce da un mezzo flop su Rai3 (d’altronde, la musica classica si vende non proprio facilmente in televisione, e Bollani, insomma, non è mica Allevi), allora, s’è inventato qualche simpatica dichiarazione da spargere a piene mani sul pubblico, tra l’altro dalle colonne del Corriere della Sera, non della Gazzetta di Celle Ligure, con tutto il rispetto per i Cellesi e il loro (immagino ipotetico) giornale.

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Visto l’incredibile successo della prima parte, senza por tempo in mezzo, eccomi a definire una seconda lista di possibili cover per la voce di Valerio. Sono suggerimenti naturalmente modestissimi – alcuni titoli sono, effettivamente, piuttosto cervellotici. Sarebbe stato facile scegliere a caso un pezzo nella discografia di Luther Vandross: sono stato meno scontato, anche se forse proprio ai limiti.

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Ci stavo pensando da anni, in effetti; poi, preso da un momento di grande creatività, ho deciso di mettere per iscritto dieci suggerimenti di canzoni per la voce di Valerio. Magari qualcuna sarà già stata cantata da Mr Scanu (non l’ho seguito anche sotto la doccia, per cui potrei non ricordare qualcosa che ha già effettivamente interpretato), oppure lui ci avrà già pensato (qualche miliardo d’anni fa, sotto mentite spoglie, gli avevo consigliato di ascoltare la colonna sonora di “Smash” e, poi, mi ha tirato fuori una cover favolosa di una canzone di una sua protagonista, Jennifer Hudson…). Insomma, io ci provo: se sbaglio, “mi corrigerete” (sic).

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Ho letto la qualunque sull’ultimo atto (almeno per quest’anno) della telenovela dei Gabbiani, in salsa defilippiana. Ho letto giustissimi complimenti alla crudeltà della Sanguinaria, ho letto aspre critiche al fatto che il programma ha raccontato ancora e sempre lo stesso copione.

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“Finalmente piove” è la storia sofferta di un amore che se ne va, lasciando una traccia positiva, la pioggia che tutto risana col suo sacro lavacro. L’allontanamento tra i due membri della coppia, uno dei quali non ha mai capito l’altro, diventa occasione per una riflessione che coglie i fondamenti dell’amore tout court, una lunga parentesi con cui si apre la canzone con l’insistita anafora di “qualcuno”. E’ appena insinuato il dubbio che a qualche categoria appartenga anche l’amante che si allontana, come quando si dice che “qualcuno non ha mai provato amore nel suo vivere”.

L’idea centrale è che amare sia una sorta di scommessa che deve, per forza, lasciare un segno, anche se doloroso: per cui uscirne prima, con fretta, senza voler davvero insistere a cercare un modo per rimediare, è un’operazione da vigliacchi (“qualcuno ha perso la partita, ma non ha subito i fischi”, l’immagine incredibilmente potente con la quale si sostiene precisamente che amare è mettersi in gioco, per cui ci può essere chi non ha nemmeno partecipato – per cui ha “perso” la partita – oppure chi è stato sconfitto, ma ciononostante nessuno l’ha maltrattato per averlo fatto, perché almeno ci ha tentato).

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E finalmente piove. Non posso stasera parlare della bellissima, spaventosamente difficile canzone di Valerio. Devo parlare di lui (il mezzo al posto del contenuto), di quanto tempo è passato da quando lo vedevo, coi capelli leonini, ruggire sopra la Di Michele furiosa e sconfitta e oltre i trappoloni delle prove proibitive (che, apparentemente, non finiscono mai, come gli esami di Eduardo). Sembra, a guardarlo oggi, che sia venuto giù un secolo, che siamo entrati dall’Ottocento al Novecento, che il mondo sia cambiato, che tutto sia cambiato.

Ed in effetti tutto è cambiato – anche la sua voce, perfino il suo look, anche il suo modo di porsi davanti al pubblico, alle telecamere. Ma quel che è meravigliosamente incredibile e stranamente coinvolgente è che lui è sempre quel ragazzo che cantava col cuore, che gridava il suo desiderio di autoaffermazione, che sperava di diventare qualcuno e che ho imparato a conoscere ormai tanto tempo fa.

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Forse pochi lo ricordano, perché nel frattempo di Alex Baroni s’è fatto un mirabile santino, data la prematura morte. Ma di questo cantante in vita s’è detto e s’è scritto il peggio. Lui si presentava a Sanremo con una canzone difficilissima (“Cambiare”), che innovava completamente il modo di interpretare al festival e che apriva a sonorità moderne (finalmente) e qualcuno (se non erro, l’immarcescibile Luzzatto Fegiz) se ne usciva definendolo: “la Giorgia al maschile”.

Pregiudizi, mascalzonate, commenti al limite dell’indecente: vi ricorda qualcuno? Fu questo il destino di Alex, forse la nostra voce migliore da miliardi di anni, un musicista evoluto, che aveva 31 anni quando fece il suo primo Sanremo e se ne andò quando ne aveva solo 36. Era un gigante, ma un uomo timido, tranquillo: fu il fidanzato di Giorgia (cui era stato affiancato anche in modo più lusinghiero), ma non lo sapeva nessuno. Se ne andò tranquillo, per un tragico errore, ma sempre in punta di piedi.

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In rare occasioni i ricordi si mescolano al presente e poi, con un colpo d’ali, rivivono. Stasera, o ieri sera (ormai la mezzanotte è passata), è successo grazie alla magia della madeleine speziata della voce di Valerio Scanu.

Il cantante ritornava sul palco di “Tale e quale” per le finali di quest’anno e capitava l’incantesimo (e come altro potrei definirlo?): sembrava per un attimo che fosse tornato Mango a cantare per noi una delle sue più potenti canzoni, “Oro”.

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“Se stai dicendo che io ho una strategia, non è vero. Io sono semplicemente me stesso. Forse sono la persona meno adatta a fare un’esperienza del genere”.

Chi conosce Valerio, sa che questo è così profondamente Scanu-pensiero che sarebbe difficile trovare un’epigrafe diversa per immortalarlo. Ed è in questa dichiarazione che si trovano le motivazioni stringenti per tante pagine scritte (talora poco intelligentemente) e tante parole spese (spesso e volentieri senza reale comprensione) sul fenomeno dello scanismo. C’è chi l’ha inseguito per anni senza capirlo davvero. C’è chi ha smesso e non se ne darà mai pace.

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