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Non sono un grande fan di “X-Factor”, come i miei affezionati quindici lettori avranno capito. Da quando è finito su Sky, sono stato abbastanza felice di sentirne solo parlare. Ma Cielo ha dato la possibilità di seguire, lo scorso fine settimana, tutte le puntate fino alla semifinale: sono stati due giorni molto intensi, come immaginerete. Ma devo dire che ho visto e soprattutto sentito tutto.

O quasi. A un certo punto, infatti, m’è venuta una fortissima nostalgia di Loredana Errore e di Pasqualino Maione. E mi sono ritrovato a cantare “Ragazza occhi cielo” come antidoto alla mia tristezza incombente.

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“Minuetto” è una canzone struggente, difficile e largamente incompresa: lo è in virtù delle tante sfumature musicali e interpretative, dalle venature classiche (le citazioni di Bach) all’ambientazione americana, quasi soul. Scritta da un ispiratissimo Franco Califano e costruita nella sua partitura tanto difficile da Dario Baldan Bembo, è stata tentata più volte nella storia dopo la prima interpretazione, quella di Mia Martini, che voleva pubblicarla con un altro testo, certo meno potente, ma assai poetico, a cura di Luigi Albertelli (un pezzo che è uscito, purtroppo, solo postumo col titolo “Salvami”) e che poi ne fece anche altre due versioni, una in spagnolo dallo stesso titolo e una in francese (“Tu t’en vas quand tu veux”, poi cantata anche da Melody Stewart).

Ad omaggiare Mimì hanno pensato diversi colleghi nel corso degli anni, fin dal 1975, quando Gigliola Cinquetti ne presenta una versione troppo teatrale e leccata. Tra le migliori prove, c’è quella di Loredana Berté, che indovina la chiave giusta aiutata da Aida Cooper in un omaggio televisivo molto recente alla sorella.

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“X-Factor” è sempre stato presentato dalla critica giornalistica (non quella prezzolata dalla De Filippi) come il contraltare di “Amici”. In genere, si vedevano del programma solo i lati positivi, fino a raccontare della sua trama fantasie, appunto, costruite ad hoc. Ma di questo ho scritto ampiamente, in tempi non sospetti e quindi ora non mi si potrà fare la morale, se si è scoperto che pure loro, i fighetti della tv musicale, sono un po’ marci dentro, perlomeno allo stesso modo della tv discografico-dipendente delle varie Emme e Loredane.

Mi riferisco, come molti non sapranno (mica gli ascolti di “X-Factor” sono mai stati quelli di un successone, intendiamoci), alle ultime polemiche che hanno inseguito e ancora adesso inseguono alcuni dei giurati della trasmissione.

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“Libera quest’anima” è il monocorde terzo* album di Antonino Spadaccino, tornato alla ribalta grazie alla trasmissione che l’aveva lanciato qualche anno fa, “Amici”, grazie alla gara organizzata l’anno scorso tra alcuni dei talenti meno promozionati delle prime edizioni e vinta da lui, forse non esattamente con merito.

Il meccanismo seguito dai giudici del tempo (Platinette e Mara Maionchi) fu assai criticato (del resto, “Amici” è da sempre una puzzoneria): la Maionchi s’era impegnata a produrre un disco a chi, tra sei cantanti scelti, avrebbe avuto più download di un proprio pezzo. La gara era stata vinta da Silvia Olari e poi interrotta e ripresa da capo. Alla fine, vincitore è risultato lo Spadaccino. Del resto, non fu data a tutti gli ex concorrenti la stessa chance: molti dei migliori rimasero fuori anche dalla prima selezione, fatta con criteri onestamente poco evidenti e solo sulla base dei gusti di Platinette e della Maionchi. Non si spiegherebbe altrimenti il fatto che una dimenticata come Giulia Franceschini (che peraltro aveva smesso, grazie al Cielo, di cantare) fosse stata ripescata e addirittura accedesse alla finalina a sei, se non si tiene conto che Platinette, fin da quella edizione, s’era innamorata della sua inesistente voce.

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Emma Marrone, Bella senz’anima: la prima parte assolutamente imprecisa, in diversi punti gigioneggia come la solita camionista, senz’emozionare. Il sorriso all’amatriciana c’entra poco con l’interpretazione generale del pezzo. Quando la voce s’alza, un po’ meglio, ma strafà soprattutto quando arriva alla parte del ritornello più nota. La voce s’incrina e deve cercare un’altra via per risolvere il punto più alto. Quando finisce col gridare e muoversi come un’ossessa, ricorda la Errore. Il grido finale è stonato. La Maionchi piange istericamente: come commento all’interpretazione è adattissimo. Voto: 5

Marco Carta, Alta marea: l’inizio è proprio calante (poco aiutato dall’orchestra). Si riprende un po’ col ritornello. Non è facile trovare il ritmo giusto (che rispetto all’originale è rallentato) con come riferimento più vicino una chitarra e un bongo troppo veloce. Quando parte la seconda parte, Marco appare più rilassato, ma la voce si sfrangia una o due volte. Poi, nella ripresa del ritornello, fa la sua ottima figura e il finale, intenso senza strafare, è fatto in modo perfetto.La giuria, invece, sarebbe meglio se non parlasse.Voto: 6+

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Giusy Ferreri, Il mare immenso (Bungaro – Ferreri – Calò): non è un pezzo che colpisce subito, dalla partenza. E’, però, ottimamente cesellato su un testo particolarmente intenso e poetico, tra immagini di paesaggi naturali infranti e metafore legalitarie (“il nostro cuore fuorilegge/ spara colpi di dolore”). Si vede la mano preziosa di Bungaro, alla faccia di chi diceva che la Ferreri sarebbe finita dopo la relazione di lavoro con Tiziano Ferro. Voto: 8 1/2

Luca Barbarossa – Raquel Del Rosario, Fino in fondo (Luca Barbarossa): descritta come una canzone sanremasca, invece, è più debitrice di una certa maniera-vascofila, tra la continua anafora del “Voglio” iniziale e la dichiarazione forte “voglio trovare un senso a tutto quello che facciamo”. Le due voci, però, non si mescolano particolarmente bene, soprattutto nelle parti dove devono trovare qualche misura ed equilibrio tra loro. Quella di Barbarossa trova difficoltà e perde di intensità, tanto da diventare un basso di solo accompagnamento; nella seconda parte, la scelta è, grazie al Cielo, quella di alzare il tono e allora i due si trovano meglio. Meno interessante è il ritornello, dove il continuo insistere sull’opposizione “su/ giù” fa davvero troppo Vasco Rossi, ma quello recente che di fantasia ne ha un po’ troppo poca.Voto: 8

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E’ stato un lodevole tentativo quello della De Filippi di puntare, per la nuova collocazione al serale, su una serata di duetti fatti in casa, con i suoi beniamini di ritorno dalle edizioni precedenti accoppiati alle nuove piccole star che crescono, anche se, a giudicare dai download, non così tanto, purtroppo.

Purtroppo, in diversi casi c’è stata scarsa collaborazione tra artisti (ammesso che gran parte dei nuovi possa essere considerata tale): ciò ha creato esibizioni squilibrate tra i più rodati che han fatto tutti bellissime figure e i meno rodati che han dimostrato una volta di più le loro debolezze, o perfino i loro enormi difetti, spesso sottaciuti da commissioni non sempre particolarmente attente. L’esito artistico, dunque, è stato generalmente mediocre, come del resto è stato mediocre lo spettacolo offerto dai maestri di ballo, del quale però si parla in un altro post.

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Come forse qualcuno avrà notato, anche il bloggatore (anonimo, ovviamente) qui ospitato vede “Amici”. Lo so: è un outing anche più sconvolgente di quando qualche tempo fa ho detto che avrei voluto sposare Tiziano Ferro (tenendo conto anche del suo favoloso conto in banca).

Ed è proprio quando stavo assistendo ad una puntata del suddetto programma che ho avuto una rivelazione. Tenetevi forte, ché magari a voi è sfuggito: Luca Dondoni, il critico musicale de “La Stampa”, tiene un blog. Nel saperlo non ho contenuto la mia emozione e sono andato a cercarlo, come un pointer che vuole trovare il tartufo per il suo padrone. Leggi il seguito di questo post »

Ormai, “Amici” è diventato teatro dello scontro (a sua volta teatrale) tra Luca Jurman e Rudy Zerbi. Il programma, televisivamente parlando, ne guadagna (Zanfo, che come tutti sanno detesta Jurman, è sempre a battere le mani, in cuor suo, dietro la facciata di chi è lì per caso e non vuole prendere parte alle beghe di pollaio – Maria, però, sa farlo molto meglio), ma dal punto di vista dell’arte il rischio è che alla fine dallo scontro esca come vincitore (o vincitrice, visto che qualcuno è già stato incoronato, anche quest’anno) un mezzo fenomeno da baraccone, rischio che anche X-Factor ha corso, per poi ripiegare sulla insipidità di Nathalie (altro errore, ma almeno lei farà i musical di Tommassini, e pace se nessuno le andrà a comprare un disco – mica è la nuova Giusy Ferreri!).

“Amici” insomma rischia ancora una volta di tornare il programma di successo, ma senza successo discografico, come capitava ai bei tempi di Karima, o andando anche più indietro all’era geologica delle prime meravigliose edizioni (grandi interpreti, ma nessun contratto da nessuna parte, perché la discografia aveva altri obiettivi, non quello di far da cassa di risonanza alla De Filippi). Ora, dunque, nel momento di apparentemente maggior sintonia tra “Amici” e tutti i discografici, tutti belli a farsi vedere e riconoscere dal pubblico, con i loro taglienti giudizi (soprattutto Balestra, che ha fatto del proprio personaggio televisivo il probabile trampolino di lancio verso chissà cosa), Maria potrebbe tornare a mani vuote, indietro di anni.

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“Tu sei un soffio di vento/ che fa più luce nel tempo”. Potremmo chiosare così, con alcune parole cantate da Daniele Blaquier, quel che è successo ieri in una concitata puntata di “Amici sabato”. La De Filippi s’affanna a farsi bella con la discografia al completo in studio (perfino c’è una simpatica nuova etichetta) per dimostrare al mondo che da “Amici” escono talenti che non sono solo talenti e basta, ma che vendono miliardi di dischi. E peccato che l’arte, quella vera, si veda a sprazzi. L’importante, alla fine, è l’industria.

E peccato che l’industria sia finita in “Amici” con tale forza che ha distrutto quel che rimaneva della filosofia delle prime edizioni, quella dei “poveri, ma belli”, quella degli artisti reietti, ma che perlomeno artisti erano davvero. Peccato che a vedere la panoramica della commissione esterna ieri pomeriggio veniva, tanto per gradire, la dissenteria: ha ancora, in effetti, un senso sostenere che quelli lì, ivi compresi i tre soloni giornalistici, sono davvero “esterni”? Ma se si mettono l’abito della festa solo in queste occasioni? Ma se sono visibili solo ad “Amici”, mentre fuori da quello studio nessuno li sta a sentire?

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